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Tra il 1880-81 e il 1914, la questione dell'ebraismo russo divenne centrale nelle relazioni tra Washington e San Pietroburgo. Gli autori del libro trattano gli aspetti di tale fenomeno nella Russia zarista e i risvolti sempre più pesanti che finirono per ricadere negativamente sulla stabilità dei rapporti tra i due Paesi. La prima parte del volume, di Antonio Donno, analizza la progressione dei contrasti tra le due diplomazie, a partire dagli orrendi pogrom che avvennero in Russia dopo l'uccisione di Alessandro II e negli anni successivi, fino al momento in cui, nel 1913, Washington decise unilateralmente di abrogare il trattato firmato con San Pietroburgo nel 1832. Nella seconda parte del libro, Giuliana Iurlano analizza l'azione delle organizzazioni ebraiche americane, che si adoperarono per ottenere dagli Stati Uniti un impegno continuo di denuncia nei confronti dei governi zaristi sul trattamento della minoranza ebraica dell'Impero e per dar vita a un progetto di "diplomazia umanitaria", volta a sostenere economicamente i correligionari russi e a facilitarne l'emigrazione negli Stati Uniti. Infine, nella terza parte, Vassili Schedrin analizza questo fenomeno dall'interno della situazione russa, nella quale gli interventi statali mostravano tutta la loro inefficacia a causa della farraginosità del sistema, dell'incapacità dei funzionari di districarsi in una legislazione aggrovigliata e della corruzione imperante. La "febbre dell'emigrazione" coinvolse l'ebraismo russo a partire dal 1881-82, raggiungendo il suo culmine tra il 1903 e il 1914.